LE ZONE D’OMBRA DEL BULLISMO
“Perché il dolore è più dolor, se tace…”
(G. Pascoli)
“Era
ormai dall'inizio dell’anno che quella sedia era diventata il posto più odioso
che potesse esserci sulla faccia della terra. Mi avevano messo lì e non potevo,
né riuscivo, ad andarmene… pusillanime…, che al massimo reagivo con un mugugno,
che mi rendeva ancora più ridicolo.
Era dall’inizio dell’anno che quei due dietro di me non
facevano altro che tormentarmi con dispetti e umiliazioni, e il prof di
italiano non gli diceva niente...forse tra sé e sé pensava che ero proprio un vigliacco
cagasotto.
Un giorno mi sono girato e dall'altro lato della classe ho
visto lo sguardo strano, tra compassionevole e imperterrito, di Elena e suo
fratello che vedevano tutto e non dicevano niente… mi sono vergognato da
morire… soprattutto perché Elena mi piaceva un po'… Oggi so che in quegli occhi
c’era anche paura, paura che potessero fare anche a lei quello che quei due
facevano a me.
Finalmente l’anno era finito e io sono andato al Liceo ma
oggi ancora mi viene da sudare e arrossisco un po’ se qualcuno mi guarda mentre
sto facendo qualcosa, vengo preso da una incomprensibile e ingiustificata paura
di essere giudicato.”
Le
numerose campagne e gli editti allarmistici che ormai da tempo attenzionano
questo fenomeno dilagante, sembrano non essere riusciti ancora a rassicurarci
su un quesito dirimente e cioè quanto i nostri ragazzi siano realmente
tutelati, quanto la società (cioè noi!) abbia sviluppato sufficienti anticorpi
per proteggersi da una malattia sociale, qual è il bullismo, una malattia dalle
qualità camaleontiche che sembrano assicurarne la costante rigenerazione.
In
realtà, la nostra società, sembra avere in sé delle forti contraddizioni che
denuncerebbero una vulnerabilità di fondo, tanto da incidere sul potere dissuasivo
e rischiare di rendere vacue le azioni di contrasto al fenomeno.
Solo
per fare un esempio, è innegabile che il modello di vita dominante nella
società attuale sia quello competitivo.
Questo
modello fa si che la nostra società sia caratterizzata fondamentalmente da una
struttura gerarchica e da una rete di interazioni sociali basate
prevalentemente su rapporti di potere. In questo contesto gli altri sono
percepiti in modo competitivo, sono visti come una minaccia o un antagonista,
da sopraffare e da vincere, sul quale comunque stabilire una supremazia.
Convinzione
questa rafforzata dal significato ambiguo che ha dentro di sé il termine stesso
di “aggressività”, spesso comparato al concetto di “autoaffermazione”,
all’interno del quale vengono compressi significati come “efficiente”,
“coraggioso”, “attivo”, “disposto a battersi per i diritti propri e quelli
altrui”.
Nella
migliore delle ipotesi possiamo affermare che nella nostra società
l’atteggiamento verso l’aggressività è ambiguo. Da una parte, in linea di principio,
i comportamenti aggressivi vengono condannati, dall’altro, di fatto, sono
spesso accettati, tollerati, ignorati o negati.
E
l’autoaffermazione “aggressiva” sono, a volte, certi genitori a incoraggiarla. Uno
dei motivi può essere rintracciato, ad esempio, nel timore che, in una società
competitiva come la nostra, i figli non siano in grado di affrontare la vita e
di avere successo se non sono abbastanza aggressivi, pena il rischio di essere
schiacciati, umiliati, assoggettati ed emarginati dagli altri, di passare per
“sfigati”.
Questa
è l’aria che i bambini respirano nel gioco, nello sport, nella stessa scuola,
nella vita quotidiana, con l’effetto di trasformare il loro piacere di compiere
una determinata attività nel piacere di compiere questa attività meglio degli
altri.
Ma è
proprio tra le pieghe di questo modello sociale che si annidano i fattori di
rischio, tanto invisibili quanto devastanti, che fanno da humus in cui far
attecchire il bullismo.
Sono le
“zone d’ombra del bullismo”, quegli aspetti del fenomeno che rendono arduo agli
adulti il compito di poterlo riconoscere e smascherare, perché le angherie, i
soprusi, le prepotenze avvengono sì nell'ombra, nei luoghi meno controllati, ma
anche sotto sembianze subdole e, evidentemente, difficili da decodificare, vuoi
per la nostra disattenzione, vuoi per superficialità o perché ormai
condizionati dall'effetto narcotizzante di una società assuefatta alla
violenza.
Un
fattore di rischio in cui il bullismo può trovare terreno fertile, e quindi
proliferare, è la presenza e/o diffusione di un sistema di norme informali di
accettazione e tolleranza nei confronti di comportamenti aggressivi e
prepotenti, spesso mutuati dal mondo adulto, e agiti mediante, ad esempio la
denigrazione, la derisione, il giudizio, che molte volte trovano sponda
nell’omertà o nella paura delle conseguenze di chi invece dovrebbe o potrebbe
intervenire. Comportamenti, come ad esempio le prese in giro, gli scherzi di
cattivo gusto, l’uso molesto delle mani, che se acquisiti come norme
comportamentali tollerate, “normalizzati” e assorbiti nel tessuto delle
quotidiane interazioni e relazioni tra bambini, possono sortire, con i loro
effetti squalificanti, delle ricadute dannose, distruttive su personalità, per
definizione, fragili, come quelle in fieri dei nostri ragazzi, sulla loro
autostima. E tra loro c’è ne sono di ancora più fragili, bambini che magari
vivono momenti delicatissimi della loro vita a causa ad esempio del clima teso
di una coppia di genitori alle prese con una separazione, peggio ancora se
conflittuale; a causa dello stress che comporta il dover ricomporre l’assetto
della propria vita conseguentemente ad un trasferimento, o per la perdita di
una persona cara.
Vergogna
e rabbia sono le due facce della stessa medaglia, sono i due sentimenti che più
di altri animano i pensieri di chi subisce prepotenze e ingiustizie e di cui è
determinante riconoscerne i segnali, che spesso passano in maniera silente e
inosservati.
Ecco
che allora diventa determinante l’azione binaria e combinata su adulti e
ragazzi.
Un’azione
orientata a proporre a bambini e ragazzi attività improntate sull’educazione
alle emozioni e al sentire empatico, che consenta loro di riconoscere i propri
sentimenti e di riuscire a comunicarli, di suscitare riflessioni sul proprio
sentire e su quello degli altri, di suggerire strategie di controllo delle
emozioni più forti, come la rabbia. Una impostazione che poggia sulla
convinzione che la più efficace strategia preventiva, il principale strumento di
protezione che potremmo insegnare ai nostri ragazzi, risieda nella qualità
delle relazioni che riusciamo a costruire con chi ci sta accanto, una regola
che forse interessa un po' tutti, a qualsiasi età.
Un
intervento che può risultare vano o comunque parziale se non supportato,
secondo una visione ecologica e sistemica, da un coinvolgimento ampio e
condiviso di tutti gli attori interessati, sia nel contesto familiare che in
quello scolastico. Un coinvolgimento del mondo adulto, ispirato da un approccio
multidisciplinare, che sappia declinare e articolare le differenti competenze,
di ordine psicologico, sociale, educativo, necessarie per affrontare le forme
della violenza, non solo nelle sue forme più riconoscibili e clamorose ma anche
nella quotidianità di comportamenti che, ancora mascherabili dall’esuberanza o
dalla dimensione ludica propria dell’età, rischiano di essere legittimati e
quindi diventare qualità permanente delle relazioni interpersonali, pur essendo
all’origine di umiliazioni e maltrattamenti.
BIBLIOGRAFIA
E. Buccoliero, M. Maggi (a cura di) (2008), Il bullismo
nella scuola primaria, Franco Angeli s.r.l., Milano.
Antonio Protopapa
Psicologo
Psicoterapeuta
Terapeuta
EMDR
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Cherubini, Roma
cell.
347.30.50.777
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