Il
numero sempre più crescente di persone che soffrono di binge eating
sta attirando l'attenzione di molti psicoterapeuti.
Prima
di addentrarci in questo disturbo occorre fare una breve introduzione
diagnostica.
Quello che oggi viene chiamato disturbo
da binge-eating, binge-eating disorder o disturbo da
alimentazione incontrollata,
è racchiuso nel campo più vasto dei disturbi della nutrizione
e dell’alimentazione.
A
livello clinico è caratterizzato da abbuffate, simili
a quelle della bulimia ma che non vengono seguite da pratiche di
eliminazione o compensazione quali, ad esempio, vomito, abuso di lassativi o diuretici. Come la bulimia, le abbuffate vengono effettuate di nascosto, spesso
sono associate alla sensazione di perdita di controllo sulle quantità
di cibo assunto e terminano soltanto in seguito a una sensazione di
pienezza eccessiva e sgradevole. Spesso i pazienti riferiscono che le
abbuffate sono accompagnate da un senso di frustrazione,
inadeguatezza e disgusto verso se stessi.
Oggi
il disturbo da binge-eating è stato incluso nel DSM-V come
categoria distinta di disturbo dell’alimentazione. Nel DSM-V
“Manuale
Diagnostico e Statistico di Disturbi Mentali”
il disturbo da binge-eating ha mantenuto i criteri diagnostici simili
a quelli del DSM-IV con l’eccezione del criterio D (frequenza e
durata abbuffate). Le abbuffate si devono verificare, in media,
almeno una volta alla settimana per 3 mesi, mentre nel DSM-IV si
dovevano verificare almeno due giorni la settimana per 6 mesi.
I
criteri diagnostici del disturbo da binge-eating riportati nel
manuale DSM-V sono i seguenti:
- Ricorrenti episodi di abbuffate.
- Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.
- Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).
- Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:
- Mangiare molto più rapidamente del normale.
- Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.
- Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.
- Mangiare da soli perché a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando.
- Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.
- È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.
- L’abbuffata
si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
I
pazienti che soffrono di binge eating spesso mostrano un’alta
correlazione con il sovrappeso o obesità. Le ricerche evidenziano
una stretta connessione tra Binge eating e depressione, ansia, ipocondria, difficoltà nei rapporti interpersonali e nella
sessualità.
Il
più delle volte questi pazienti arrivano al colloquio dopo aver
seguito svariate diete, finalizzate alla perdita di peso, senza
riuscirci e generando ulteriore frustrazione.
Si
è visto che oltre al disagio
psicologico associato,
l’obesità che ne deriva comporta un significativo aumento del
rischio di patologie organiche come le malattie metaboliche,
l’ipertensione, le dislipidemie, il diabete, i problemi
muscoloscheletrici, le alterazioni ormonali, le disfunzioni sessuali,
le difficoltà cardiorespiratorie ecc.
Come
per l’anoressia e la bulimia, l’origine del disturbo
da binge-eating è complessa. Si sommano vari fattori:
genetici, personali, familiari, sociali e ambientali.
Oggi
il disturbo da binge-eating deve essere affrontato a 360°, sia
sotto l'aspetto psicologico che su quello organico.
Come
tutti i disturbi del comportamento alimentare, il B.E.D. deve essere
trattato con un approccio
multidisciplinare
che preveda una collaborazione tra vari specialisti psichiatra,
internista, dietologo e psicologo/psicoterapeuta. Spesso
risulta utile per questi pazienti un trattamento farmacologico
che si avvale della somministrazione
di antidepressivi e ansiolitici, mentre la
psicoterapia può
risolvere le problematiche legate alla impulsività, alla messa in
atto di relazioni disfunzionali cui spesso sono soggetti questi
pazienti, alla mancanza di autocontrollo, promuovendo una maggior
consapevolezza e gestione delle crisi a cui tali soggetti vanno in
corso.
I
numerosi studi a riguardo hanno dimostrato come l'approccio
multidisciplinare,
basato sul coinvolgimento di medici internisti, nutrizionisti,
endocrinologi, psicoterapeuti e psichiatri, assicuri al paziente
buone probabilità di ottenere un recupero efficace, sicuro e
duraturo.
A
volte, in base alla gravità del caso, è possibile valutare
l’impiego di farmaci che
riducono la sensazione di fame o l’assorbimento dei nutrienti
oppure il ricorso a interventi che interferiscono con l’assunzione
di cibo o con la sua assimilazione. In altri casi, invece, è
consigliabile l’intervento di chirurgia
bariatrica,
dopo aver fatto una visita specialistica per capire il tipo di
intervento da scegliere
in base alla tipologia del paziente. Esistono soluzioni temporanee
come l’inserimento del “palloncino” nello stomaco o il
bendaggio gastrico oppure tecniche permanenti e maggiormente
invasive, quali la riduzione delle dimensioni dello stomaco o il
bypass gastro-duodenale.
Quando
questi pazienti presentano problematiche di natura psicologica o
psichiatrica, che possano interagire negativamente sulla loro vita,
viene negata la possibile soluzione bariatrica.
La
persona affetta da tale disturbo si presenta spesso come emotivamente
fragile, isolata, con una scarsa autostima, senso di inadeguatezza e
sensi di colpa. Il livello di insoddisfazione e la depressione
sembrano attenuarsi momentaneamente con l’uso del cibo.
Alcuni
studiosi hanno evidenziato il ruolo importante a carico delle
prime esperienze
di vita infantile.
Per esempio, si è visto che esiste un alta incidenza di: disturbi
depressivi nei genitori, alcolismo, aggressività che sfocia in vere
e proprie forme di violenze, tendenza all'obesità e atteggiamento
svalutante riguardo la forma, il peso e
la modalità di alimentazione.
Le
abbuffate, spesso, rappresentano un rifugio ad un vissuto di tensione
insostenibile, ad uno stato emotivo ritenuto intollerabile. L’uso
del cibo, all'inizio, sembra placare tensioni irrisolte per poi
ripresentarsi nuovamente durante altre situazioni di disagio. Come un
circolo vizioso diventa un automatismo utilizzato nelle situazioni
con forte impatto emotivo. Il cibo viene usato come un elemento di
gratificazione che arresta solo apparentemente la tensione interiore
che il soggetto sta vivendo.
Attualmente,
il Binge Eating Disorder è considerato un disturbo del comportamento
alimentare molto diffuso. Le ricerche hanno evidenziato una
diminuzione delle abbuffate in risposta alla terapia farmacologica con antidepressivi e alla psicoterapia.
E'
stato dimostrato che esiste, quindi, una forte associazione tra
questo disturbo e l’obesità. Proprio per tale motivo, a differenza
dei pazienti con Bulimia Nervosa, generalmente normopeso, quelli con
B.E.D. si rivolgono a centri specializzati per la cura dell’obesità,
piuttosto che a quelli per la cura dei disturbi alimentari.
Lavorare
in équipe è molto utile con questi pazienti ma, nella stanza, insieme
allo psicoterapeuta,
è importante comprendere le dinamiche profonde che impediscono al
paziente di effettuare un vero cambiamento della sua vita.
Dott.ssa Alessandra
Scala
Psicologa –
Psicoterapeuta
www.psicologascala.it
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