venerdì 30 aprile 2021

Nuovi passi verso la definizione del ruolo dello Psicologo delle Cure Primarie.

Ieri 29 Aprile 2021 nella diretta Facebook del giovedì, tenuta dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, si è discusso del tema ‘Lo psicologo delle cure primarie: una presenza necessaria’. All’incontro, coordinato dal Presidente del CNOP Dott. David Lazzari, hanno preso parte figure chiave del panorama Istituzionale, inclusi il Presidente dell’Ordine Nazionale dei Medici, Dott. Filippo Anelli, la Presidente e la Vicepresidente della Commissione Sanità al Senato, ovvero le Senatrici Anna Maria Parente e Paola Boldrini.

Il dibattito si è aperto con una riflessione su come il livello di assistenza primaria sia stato messo a dura prova nel corso della pandemia da COVID-19 a causa della mancanza di adeguati investimenti. La pandemia sta facendo emergere il bisogno di un approccio integrato alla cura della persona, che tenga conto anche e soprattutto degli aspetti psichici ed emotivi.

In pratica, il quadro sanitario attuale ha reso ancora più evidente la necessità di una risposta da parte del Sistema Sanitario, che guardi alla ‘persona come ad un essere complesso – osserva il Dott. Anelli - la cui salute è fortemente influenzata da vissuti e comportamenti'
‘La dimensione personale diviene fondamentale per il SSN in un’ottica bio-psico-sociale… per dare una risposta immediata e funzionale ai bisogni del cittadino – osserva il Presidente Lazzari ed aggiunge - Prevenire in maniera intelligente è meglio che curare’. Alla luce di tale consapevolezza, i servizi di prossimità assumono un ruolo cruciale nella promozione della salute, nell’ascolto e nella cura dei cittadini.

In questo quadro, la Senatrice Paola Boldrini, prima firmataria del DDL depositato alla Camera a maggio dello scorso anno, relativo alla introduzione dello Psicologo delle Cure primarie nel primo livello di assistenza sanitaria, evidenzia come nel decreto Legge viene proposto un modello di presenza della professione di Psicologo delle cure primarie adeguata alle esigenze ed ai bisogni del cittadino. L’idea di base è che ogni persona ha diritto ad una cura adeguata non solo a livello fisico ma anche sul piano psicologico, indipendentemente dalle proprie disponibilità economiche. Del resto, numerosi studi hanno dimostrato come investire in tale ambito non sia solo un dovere etico ma implichi un risparmio economico importante per il Sistema Sanitario Nazionale.

Sul tavolo di discussione vi è la possibile attivazione di Dipartimenti delle Cure Primarie, in cui si dia spazio non solo ad interventi di prevenzione, ma che fungano da filtro e orientino i cittadini nell’usufruire della rete e dei servizi territoriali. Tali dipartimenti dovranno avvalersi della presenza di professionisti psicologi, in equipe con i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta. Infatti, come sottolineato della Senatrice, lo psicologo rappresenta una figura chiave nei servizi di prossimità: si pensi ad esempio all’importanza dell’aderenza alle cure in utenti con patologie croniche per la qualità della vita, o di un intervento precoce in quelle condizioni di disagio psichico che ancora non hanno connotati psicopatologici.

Molto puntuale anche l’intervento della Senatrice Anna Maria Parente, Presidente della commissione Sanità al Senato, che ha evidenziato come grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potremo finalmente avere a disposizione fondi corposi, e che è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche per utilizzarli al meglio. Non basta avere le Case della Salute o nuovi Dipartimenti, ma bisogna strutturare i servizi in un modo funzionale, per garantire la continuità assistenziale e per avere un sistema sanitario coerente e non frammentato, evitando gli errori del passato. In tale processo lo ‘psicologo delle cure primarie diviene sostanza della continuità assistenziale’ – afferma la Senatrice.

Una visione di insieme che fa ben sperare nella possibilità di un cambio di paradigma nell’ambito dell’assistenza sanitaria di prossimità in cui, come afferma il Presidente Lazzari ‘lo psicologo diviene veicolo comunicativo tra i sistemi, al loro interno, e tra i sistemi e l’utenza, lavorando anche sull’empowerment dei singoli’.

Come Associazione Nazionale Psicologi Psicoterapeuti siamo davvero entusiasti del fatto che finalmente stia prendendo corpo un disegno di Legge nel quale troviamo rispecchiata la nostra visione dello psicologo delle cure primarie.

Una visione che abbiamo iniziato a mettere in pratica già dal 2015 in via sperimentale con il nostro progetto ‘Salta in Rete’ e per il quale stiamo iniziando ad implementare una survey a livello regionale e, poi a livello nazionale per censire le esperienze fatte in tale ambito nelle diverse Regioni. Il nostro auspicio è che il progetto di legge e la ricerca sullo stato dell'arte vengano promosse in parallelo.

Siamo convinti che le tre parole chiave utilizzate dal Presidente Lazzari per concludere l’incontro – RETE, INTEGRAZIONE, PERSONA - siano una chiara sintesi di ciò che ogni professionista della salute deve tenere a mente nella sua pratica quotidiana e delineano in modo chiaro quella che dovrà essere la Sanità Pubblica nel prossimo futuro, a partire dall’assistenza primaria.

Come Associazione stiamo lavorando per contribuire in modo concreto a questa rivoluzione, per riorganizzare il piano di intervento socio-sanitario, includendo la professionalità dello psicologo anche nelle cabine di regia e per affrontare in maniera sistemica e integrata i temi di prevenzione e salute.

Ecco il Link per rivedere l'evento su Facebook

Dott.ssa Silvia Clausi, Coordinatrice Progetto Salta in Rete
Dott.ssa Francesca Chiricozzi, Coordinatrice Progetto Salta in Rete
Dott. Antonio Protopapa, Responsabile Progetto Salta in Rete
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Associazione Nazionale Psicologi Psicoterapeuti
www.anapp.it | articolipsicologia.anapp.it

giovedì 14 maggio 2020

I VISSUTI PSICOLOGICI E IL COVID-19

I vissuti psicologici legati all'emergenza sanitaria e le forme di disagio psicologico presenti nella popolazione sono state oggetto di una indagine nazionale effettuata dall'Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell'Ordine Psicologi (CNOP).

Dall'indagine è emerso che l'emergenza ha aumentato i livelli di disagio psicologico di 7 italiani su 10, soprattutto tra le donne e le persone comprese tra i 35 ed i 54 anni di età.
Il 42% degli italiani lamenta problemi di ansia; il 24% disturbi del sonno; il 22% irritabilità; il 18% umore depresso; il 14% problemi e conflitti relazionali; il 10% problemi alimentari; e solo il 28% dice di non avere nesssun problema o disagio.

L'aumento del disagio psicologico evidenzia proprio il profondo senso di smarrimento e disorientamento che le persone stanno sperimentando.
Il coronavirus, infatti, è un evento che, sia a livello individuale che a livello collettivo, ha messo sottosopra l'ordine abituale delle cose ed ha sconvolto il quadro normale della realtà.
Il virus, inoltre, è vissuto nell'immaginario collettivo come una potenza imprevedibile e ingovernabile contro la quale non ci sono difese organizzate ed efficaci per impedire il carico di dolore e di perdita al quale questo evento sta esponendo la popolazione italiana e quella del mondo intero.
Non a caso il problema più lamentato da quasi la metà delle persone intervistate è relativo all'ansia, seguito dai disturbi del sonno, disagi questi che parlano chiaramente di uno stato psicologico di allerta costantemente attivato rispetto al pericolo percepito.
L'irritabilità, l'umore depresso, i problemi relazionali e alimentari sono tutti segnali che denunciano quanto l'attuale situazione sia per le persone fortemente stressante e destabilizzante sul piano psicologico.

Un altro aspetto indagato è stato l'impatto che le limitazioni imposte hanno avuto sulle persone, e si è visto che le limitazioni che pesano di più sono: non potersi relazionare con le persone al di fuori (51%); non poter fare sport all'aria aperta (27%); non avere tanti spazi a disposizione (24%); non poter andare al lavoro (20%); dover convivere forzatamente (9%). Indica altro il 4%, mentre il 6% non vuole rispondere.

Il lockdown ha comportato un repentino e radicale cambiamento nelle abitudini e nell'organizzazione di vita.
I punti di riferimento come il lavoro, la pausa pranzo/caffè con i colleghi, la passeggiata con gli amici, la palestra, lo shopping, il pomeriggio al parco con i bambini e tanto altro che costituiva la routine quotidiana di ognuno, sono stati scardinati.

Tutto si è fermato ed è in continua trasformazione, lo stato emotivo, sociale e culturale richiede un continuo riadattamento alle nuove regole sociali e di convivenza, così come ai nuovi spazi.
Le limitazioni lamentate nell'indagine, come "non potersi relazionare con le persone al di fuori" o "il non poter fare sport all'aria aperta" o ancora "non poter andare al lavoro", sottolineano la difficoltà ad attuare un processo di adattamento necessario per affrontare il cambiamento.
Processo di adattamento che presuppone di non guardare al prima in termini nostalgici e non proiettarsi in un futuro che non si conosce, ma piuttosto essere nel qui ed ora per poter individuare e usufruire degli aspetti costruttivi presenti.
Trovare nuovi adattamenti funzionali, e fare propri i nuovi comportamenti imposti dall'emergenza sanitaria integrandoli con i propri vissuti e il proprio modo di essere, aiuta a superare il senso di frustrazione e di rottura della continuità della propria esistenza.

Proseguendo nell'indagine, gli intervistati, sollecitati sugli eventuali aspetti positivi dell'isolamento forzato, rispondono:"ho più tempo da dedicare alla mia famiglia" (49%); "ho più tempo da dedicare a me stesso" (34%); "sto leggendo libri" (25%); "sto imparando a cucinare" (12%); "sto seguendo dei corsi di lingua on line" (5%); "non penso ci siano aspetti positivi" (18%).

L'evidenza pone l'accento sul fatto che coloro che hanno attivato la capacità di vivere il tempo presente in modo nuovo, hanno anche saputo vivere il cambiamento, seppure obbligato, come una opportunità.
Una grossa percentuale degli intervistati ha scelto di prendersi più cura della famiglia e di sé stessi, anche attraverso l'apprendimento di nuove competenze.
Paradossalmente il blocco sanitario, passando per il distanziamento fisico e l'isolamento, ha messo le persone di fronte a sé stessi ed ha consentito di dare più spazio e attenzione ai rapporti.

Ciò non toglie che il virus, irrompendo nella vita di ognuno, ha incrinato le sicurezze, alterato i confini e ha messo allo scoperto la vulnerabilità dell'esistenza umana. E, come accade in tutte le crisi esistenziali, chi è più resiliente ha più possibilità di attivare strategie adatte per affrontare la crisi e viverla come un processo di cambiamento e di crescita.
Chi vive già delle fragilità, per la propria storia personale, percepirà più amplificato il senso di impotenza e di difficoltà ad attivare reazioni adeguate, e saranno maggiori le probabilità di sentirsi emotivamente travolto dalla crisi causata dal coronavirus.

Per tutti coloro che si sentono più esposti al disagio e più sguarniti, il supporto psicologico si rivela un prezioso aiuto, se non addirittura indispensabile per preservare un buon equilibrio psichico, perché, seppure il covid-19 colpisca il fisico, ha anche una grave ricaduta sul piano psicologico a causa della sua pervasività nelle dimensioni affettive, sociali, economiche della vita dell'individuo e della comunità.
Inoltre, è necessario tenere in conto che spesso gli effetti dei vissuti traumatici e delle situazioni altamente stressanti si possono presentare più in là nel tempo, quando si ha la percezione che tutto sia passato e superato.
Per questo motivo è importante poter usufruire dell'aiuto di psicologi o di psicoterapeuti per poter riconoscere i segnali di malessere e, attraverso il lavoro psicologico, favorire il processo di elaborazione dell'esperienza traumatica e rinforzare la capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzati o addirittura trasformati.


Dott.ssa Ornella Giordano
Psicologa Psicoterapeuta

via Albalonga, 40 Roma
cell. 3384383587
ornellagiordano@email.it



martedì 4 febbraio 2020

CORPO E MENTE NEL MALATO REUMATICO: il giusto equilibrio per una buona Qualità della Vita.




Abstract: La malattia cronica, quando fa la sua apparizione, entra di prepotenza, in modo continuo e pervasivo, nella vita quotidiana di un individuo e nella rete sociale a cui appartiene. La malattia cronica è una ferita del corpo e dell’anima, produce un trauma e predispone, necessariamente, l’individuo ad adattare la propria esistenza, interessando tutte le dimensioni di cui è composto: cognitivo, emotivo e fisiologico. Solo quando avrà raggiunto il giusto equilibrio tra queste dimensioni l’individuo potrà riacquisire il potere perso sulla gestione e la progettazione della propria vita.

lunedì 22 luglio 2019

Il Disturbo da binge-eating: cos'è, come riconoscerlo e quali possono essere i rimedi

Il numero sempre più crescente di persone che soffrono di binge eating sta attirando l'attenzione di molti psicoterapeuti.
Prima di addentrarci in questo disturbo occorre fare una breve introduzione diagnostica.
Quello che oggi viene chiamato disturbo da binge-eating, binge-eating disorder o disturbo da alimentazione incontrollata, è racchiuso nel campo più vasto dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
A livello clinico è caratterizzato da abbuffate, simili a quelle della bulimia ma che non vengono seguite da pratiche di eliminazione o compensazione quali, ad esempio, vomito, abuso di lassativi o diuretici. Come la bulimia, le abbuffate vengono effettuate di nascosto, spesso sono associate alla sensazione di perdita di controllo sulle quantità di cibo assunto e terminano soltanto in seguito a una sensazione di pienezza eccessiva e sgradevole. Spesso i pazienti riferiscono che le abbuffate sono accompagnate da un senso di frustrazione, inadeguatezza e disgusto verso se stessi.
Oggi il disturbo da binge-eating è stato incluso nel DSM-V come categoria distinta di disturbo dell’alimentazione. Nel DSM-V Manuale Diagnostico e Statistico di Disturbi Mentali il disturbo da binge-eating ha mantenuto i criteri diagnostici simili a quelli del DSM-IV con l’eccezione del criterio D (frequenza e durata abbuffate). Le abbuffate si devono verificare, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi, mentre nel DSM-IV si dovevano verificare almeno due giorni la settimana per 6 mesi.
I criteri diagnostici del disturbo da binge-eating riportati nel manuale DSM-V sono i seguenti:
  1. Ricorrenti episodi di abbuffate.
    1. Mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili.
    2. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando).
  2. Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:
    1. Mangiare molto più rapidamente del normale.
    2. Mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni.
    3. Mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati.
    4. Mangiare da soli perché a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando.
    5. Sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.
  3. È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.
  4. L’abbuffata si verifica, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi.
I pazienti che soffrono di binge eating spesso mostrano un’alta correlazione con il sovrappeso o obesità. Le ricerche evidenziano una stretta connessione tra Binge eating e depressione, ansia, ipocondria, difficoltà nei rapporti interpersonali e nella sessualità.
Il più delle volte questi pazienti arrivano al colloquio dopo aver seguito svariate diete, finalizzate alla perdita di peso, senza riuscirci e generando ulteriore frustrazione.
Si è visto che oltre al disagio psicologico associato, l’obesità che ne deriva comporta un significativo aumento del rischio di patologie organiche come le malattie metaboliche, l’ipertensione, le dislipidemie, il diabete, i problemi muscoloscheletrici, le alterazioni ormonali, le disfunzioni sessuali, le difficoltà cardiorespiratorie ecc.
Come per l’anoressia e la bulimia, l’origine del disturbo da binge-eating è complessa. Si sommano vari fattori: genetici, personali, familiari, sociali e ambientali.
Oggi il disturbo da binge-eating deve essere affrontato a 360°, sia sotto l'aspetto psicologico che su quello organico. 
Come tutti i disturbi del comportamento alimentare, il B.E.D. deve essere trattato con un approccio multidisciplinare che preveda una collaborazione tra vari specialisti psichiatra, internista, dietologo e psicologo/psicoterapeuta. Spesso risulta utile per questi pazienti un trattamento farmacologico che  si avvale della somministrazione di antidepressivi e ansiolitici, mentre la psicoterapia può risolvere le problematiche legate alla impulsività, alla messa in atto di relazioni disfunzionali cui spesso sono soggetti questi pazienti, alla mancanza di autocontrollo, promuovendo una maggior consapevolezza e gestione delle crisi a cui tali soggetti vanno in corso.
I numerosi studi a riguardo hanno dimostrato come l'approccio multidisciplinare, basato sul coinvolgimento di medici internisti, nutrizionisti, endocrinologi, psicoterapeuti e psichiatri, assicuri al paziente buone probabilità di ottenere un recupero efficace, sicuro e duraturo.
A volte, in base alla gravità del caso, è possibile valutare l’impiego di farmaci che riducono la sensazione di fame o l’assorbimento dei nutrienti oppure il ricorso a interventi che interferiscono con l’assunzione di cibo o con la sua assimilazione. In altri casi, invece, è consigliabile l’intervento di chirurgia bariatrica, dopo aver fatto una visita specialistica per capire il tipo di intervento da scegliere in base alla tipologia del paziente. Esistono soluzioni temporanee come l’inserimento del “palloncino” nello stomaco o il bendaggio gastrico oppure tecniche permanenti e maggiormente invasive, quali la riduzione delle dimensioni dello stomaco o il bypass gastro-duodenale.
Quando questi pazienti presentano problematiche di natura psicologica o psichiatrica, che possano interagire negativamente sulla loro vita, viene negata la possibile soluzione bariatrica.
La persona affetta da tale disturbo si presenta spesso come emotivamente fragile, isolata, con una scarsa autostima, senso di inadeguatezza e sensi di colpa. Il livello di insoddisfazione e la depressione sembrano attenuarsi momentaneamente con l’uso del cibo.
Alcuni studiosi hanno evidenziato il ruolo importante a carico delle prime esperienze di vita infantile. Per esempio, si è visto che esiste un alta incidenza di: disturbi depressivi nei genitori, alcolismo, aggressività che sfocia in vere e proprie forme di violenze, tendenza all'obesità e atteggiamento svalutante riguardo la forma, il peso e la modalità di alimentazione.
Le abbuffate, spesso, rappresentano un rifugio ad un vissuto di tensione insostenibile, ad uno stato emotivo ritenuto intollerabile. L’uso del cibo, all'inizio, sembra placare tensioni irrisolte per poi ripresentarsi nuovamente durante altre situazioni di disagio. Come un circolo vizioso diventa un automatismo utilizzato nelle situazioni con forte impatto emotivo. Il cibo viene usato come un elemento di gratificazione che arresta solo apparentemente la tensione interiore che il soggetto sta vivendo.
Attualmente, il Binge Eating Disorder è considerato un disturbo del comportamento alimentare molto diffuso. Le ricerche hanno evidenziato una diminuzione delle abbuffate in risposta alla terapia farmacologica con antidepressivi e alla psicoterapia.
E' stato dimostrato che esiste, quindi, una forte associazione tra questo disturbo e l’obesità. Proprio per tale motivo, a differenza dei pazienti con Bulimia Nervosa, generalmente normopeso, quelli con B.E.D. si rivolgono a centri specializzati per la cura dell’obesità, piuttosto che a quelli per la cura dei disturbi alimentari.
Lavorare in équipe è molto utile con questi pazienti ma, nella stanza, insieme allo psicoterapeuta, è importante comprendere le dinamiche profonde che impediscono al paziente di effettuare un vero cambiamento della sua vita.


Dott.ssa Alessandra Scala
Psicologa – Psicoterapeuta
www.psicologascala.it




----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Associazione Nazionale Psicologi Psicoterapeuti
www.anapp.it | articolipsicologia.anapp.it

lunedì 8 luglio 2019


Sindrome da Burn-out: è stata finalmente riconosciuta come malattia

Il termine burn-out, di origine anglosassone, letteralmente significa esaurimento, crollo o surriscaldamento, dà chiaramente l’idea di ciò di cui si sta parlando, ovvero una condizione di stress.
La sindrome del burnout venne inizialmente associata alle professioni sanitarie e assistenziali, per poi essere riconosciuta come associata a qualsiasi contesto lavorativo con alte condizioni stressanti e pressanti come ad esempio posizioni di grande responsabilità lavorativa.