Abstract: La malattia cronica, quando fa la sua apparizione, entra di prepotenza, in modo continuo e pervasivo, nella vita quotidiana di un individuo e nella rete sociale a cui appartiene. La malattia cronica è una ferita del corpo e dell’anima, produce un trauma e predispone, necessariamente, l’individuo ad adattare la propria esistenza, interessando tutte le dimensioni di cui è composto: cognitivo, emotivo e fisiologico. Solo quando avrà raggiunto il giusto equilibrio tra queste dimensioni l’individuo potrà riacquisire il potere perso sulla gestione e la progettazione della propria vita.
L’articolo traccia i contorni di questo percorso, a partire dalla prima fase di shock, per arrivare ad uno stadio di ri-costruzione adattiva, indicando nella rielaborazione della propria esperienza traumatica il sentiero principe che porta a sanare le ferite dell’anima e del corpo e a recuperare la propria identità di persona
Nella malattia
cronica perdere la salute è un evento molto doloroso e spesso anche
sconvolgente. Questo perché la malattia condiziona la vita quotidiana
e obbliga ad un adattamento di vita nuovo. Chi si ammala deve necessariamente
rivedere le proprie abitudini di vita e le aspettative sul futuro, deve
riformulare la propria identità corporea e modificare o riadattare il proprio
ruolo sociale.
Ciò non porta
solo al peggioramento della qualità della vita del paziente ma anche incide
sull’aderenza alle cure, sugli esiti della riabilitazione, aumenta la necessità
di prestazioni assistenziali e, in alcuni casi, aumenta il rischio di
mortalità.
La malattia,
dunque, genera un trauma (dal greco “ferita”); è una frattura dell’equilibrio
psicofisico che la persona aveva trovato nella sua vita fino a quel momento. La
diagnosi tardiva spesso amplifica gli effetti emotivi del trauma.
Ma che cosa è il trauma?
Il trauma
psicologico, dunque, può essere definito come una “ferita dell’anima”, come
qualcosa che rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e che ha un
impatto negativo sulla persona che lo vive.
Il trauma genera automaticamente una reazione chiamata stress. Lo stress
è la risposta naturale da un punto di vista emotivo, cognitivo e fisiologico
per trovare un nuovo adattamento. Ogni
fattore stressante (stressor) richiama immediatamente delle reazioni
regolative neuropsichiche, emotive, locomotorie, ormonali e immunologiche che formano un quadro
generale conosciuto come SGA (Sindrome Generale di Adattamento).
Quali sono i meccanismi fisiologici dello stress
Quando c’è un
evento stressante l’organismo attiva un sistema
di risposta di emergenza che da un punto di vista fisiologico vede
coinvolta la via nervosa, con
liberazione di catecolamine, e la via
endocrina, con secrezione di corticosteroidi. L’individuo si prepara,
in questo modo, per una risposta al pericolo percepito come incombente. Il
duplice rilascio sottende la risposta di attacco-fuga, la classica e pronta
reazione necessaria in situazioni di pericolo.
Il sistema di
risposta all’emergenza continua a riversare nell’organismo potenti ormoni fino
a quando il cervello percepisce che il pericolo è passato.
La
normalizzazione dei livelli ormonali dipende da una zona del nostro cervello
(ippocampo), struttura chiave per l’apprendimento, la memoria e gli aspetti
cognitivi delle emozioni. Nel momento in cui l’informazione di pericolo viene
“elaborata come non più pericolosa” il soggetto non si sente più minacciato e
riprende a funzionare come prima.
Queste risposte
sono fisiologiche e non procurano danni se vengono limitate nel tempo e sono
legate a situazioni occasionali di stress. Ma se un soggetto è sottoposto
costantemente a stress e a più situazioni di stress, come nella malattia
reumatica, le risposte che può sviluppare sono di tipo disadattive e
psicopatologiche (ansia, depressione, comportamenti disorganizzati e non
adeguati da un punto di vista della propria salute, non adesione alle terapie e
a nuovi e più adeguati stili di vita).
Ciò che è
importante, però, non è l’esperienza vissuta, ma il modo in cui ognuno la vive.
Quello che conta, a lungo andare, è l’insieme di tutti i fattori, genetici,
comportamentali e ambientali, (Bruce S. McEwen 2013, Perspectives on Psychological Science). Abbiamo detto, infatti, che se
l’informazione viene elaborata non più come un pericolo, perché ad esempio la
persona malata riesce a comprendere meglio come gestire la propria salute e a
trovare soluzioni più adattative alla propria vita, la malattia non viene
vissuta più come esperienza di stress, la risposta fisiologica dello stress si
disattiva e la persona non sviluppa più reazioni disfunzionali e
psicopatologiche.
Qual è la risposta allo stress da un punto di
vista cognitivo ed emotivo:
La zona del
cervello, detta ippocampo, ha una funzione chiave nella elaborazione dello
stress causato dal trauma. Ha una funzione di raccordo tra gli aspetti emotivi,
cognitivi e fisiologici producendo una risposta primitiva di tutela alla
sopravvivenza dell’individuo. La risposta cognitiva, in questa fase, è
accompagnata da una forte valenza emotiva.
Da un punto di
vista cognitivo ed emotivo la sindrome generale di adattamento passa attraverso
diverse fasi:
- fase di shock iniziale dove il malato va in blackout, è
sconvolto (rifiuta la malattia, sembra emotivamente congelato, incapace di
comprendere la propria condizione di salute non ha ancora strumenti per
affrontare e gestire la malattia). In questa fase si attiva la risposta
fisiologica dello stress, della quale abbiamo già parlato;
- fase di allerta, dove il malato è
consapevole della sua condizione di salute ma ne è spaventato e non riesce a
trovare ancora un senso alla malattia e ai cambiamenti della sua vita (assumendo
spesso comportamenti confusi e disorganizzati rispetto alle terapie, alle
visite mediche e alla riorganizzazione e assunzione di stili di vita più
adeguati). In questa fase la risposta fisiologica dello stress è in piena
produzione di ormoni che servono per organizzare la fuga e la difesa dal
pericolo percepito. Per questo motivo se la diagnosi tarda ad arrivare, oppure
non viene accolta e riconosciuta la sofferenza il soggetto ha la sensazione di
sentirsi in pericolo, di non avere il controllo della situazione e non sa come
organizzare una risposta adeguata al suo problema. Facile trovare in questa
fase persone che sono eccessivamente attivate emotivamente e sviluppano vissuto
di ansia, depressione, comportamenti disorganizzati rispetto alle cure e agli stili
di vita;
- fase di consapevolezza, dove la persona
riconosce di essere malata e ha acquisito, almeno da un punto di vista
astratto, sufficienti informazioni per gestire la malattia, e formalmente
aderente alle terapie. Avere una diagnosi corretta, essere riconosciuti nella
propria sofferenza, avere una corretta ed efficace informazione su come gestire
la propria salute e quali stili di vita sono i più adeguati, offre alla persona
la capacità di elaborare strategie di comportamenti più adeguati. Questo rende
la persona capace di dare un significato a quello che le sta accadendo, e
strumenti per affrontare la situazione stressante (la sua malattia). E’ in
questa fase che il soggetto, comincia a “organizzare” risposte più adeguate di
comportamento, l’ippocampo inizia a percepire gli stimoli ambientali come meno
minacciosi e i livelli ormonali dello stress, cominciano a scendere;
- fase di adattamento, la persona ha
elaborato la sua malattia, ha una buona conoscenza e gestione della sua salute
ed è capace, a partire dalla sua malattia, di trovare un nuovo e soddisfacente
equilibrio nella sua vita adattandola alle proprie necessità. In questa fase il
malato non si sente più minacciato dalla sua malattia, perché la gestisce e ha
accettato che fa parte della sua vita. Riesce a organizzare la vita in funzione
delle proprie capacità fisiche senza viverle come un handicap. Ha uno stile di
vita adeguato alle proprie condizioni. Da un punto di vista fisiologico
assistiamo, in questa fase, ad un definitiva normalizzazione dei livelli
ormonali e rientro dei processi dello stress.
L’intervento psicologico nelle malattie
reumatiche può essere una risorsa
Dalla ricerca
“ANMAR WE CARE” del 2017, promossa dall’ANMAR e realizzata dall’Università
cattolica del Sacro Cuore di Milano, emerge che ben il 74% dei pazienti
reumatici intervistati chiede più ascolto, mentre il 46% ha difficoltà ad
assumere le terapie. Il livello di engagment del paziente reumatico, la capacità cioè del paziente di assumere un
ruolo attivo nella gestione del suo percorso di cura, è stato valutato in base
ad un modello sviluppato dal gruppo di ricercatori dell’Università cattolica
del Sacro Cuore di Milano (Patient Health Engagement Model – PHE Model). Dal
report, emerge che più della metà degli intervistati (57%) ha un basso livello
di engagment nella gestione della propria condizione di salute. Di questi
ultimi, infatti, il 14% si trova in una condizione emotiva definita “blackout”, in cui sono attivati
comportamenti di rifiuto della malattia, emotivamente congelati ecc., in cui
non sono presenti comportamenti di engagment, comportamenti tipici dello shock
da stress; il 43% del campione risulta essere in uno stato detto di “allerta”,
in cui sono attivati comportamenti di persona
spaventata che è consapevole della malattia ma ha ancora poche informazioni e
non riesce a dare senso alle condizioni di salute; presentando, quindi
comportamenti confusi e disorganizzati. Queste persone sembrano posizionarsi
nella seconda fase dell’elaborazione dello stress.
Il 33% degli
intervistati ha una buona consapevolezza della propria malattia, l’engagment c’è insieme
ad un buon adattamento alla malattia. In questo gruppo si intravedono i primi
tentativi di avere un ruolo attivo nel percorso di cura. Nel 10% degli
intervistati, infine, troviamo persone che hanno pieno coinvolgimento nel
percorso di cura e ben orientati nella realizzazione di un proprio benessere di vita.
Alla luce di
quanto detto sopra si può meglio comprendere quanto l’intervento psicologico è
uno strumento efficace ad accompagnare il malato reumatico verso una buona
elaborazione del proprio vissuto traumatico legato alla perdita dello stato di
salute ed utile per meglio gestire e progettare la propria vita.
L’intervento
psicologico ha la finalità di accompagnare la persona attivando un percorso di
elaborazione sia dei vissuti emotivi, sia, da un punto di vista cognitivo,
delle strategie di comportamenti più adeguati ad un buon livello di adattamento
di vita, facendo uscire il paziente da quello stato di allarme e pericolo nel
quale è entrato quando nella sua vita si è affacciato il trauma della malattia.
Dott.ssa Stella Ariodante
Psicologa Psicoterapeuta
Via degli Scipioni 8 Roma
Cell. 3393157578
Email: stella.ariodante@anapp.it
lasciate inalterato il pie di pagina con i riferimenti A.Na.P.P.
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