Nella
tutela della salute (che, come ricordiamo, è un diritto sancito dalla
Costituzione) è compresa anche la salute psichica, sebbene la questione del
danno alla persona sia stata tradizionalmente appannaggio delle scienze
psichiatriche oppure delle scienze medico-legali. Ciò poiché fino a circa un
decennio fa l'unica valutazione del danno possibile era di tipo biologico.
L'area della valutazione del danno a cura di psicologi è dunque recentissima, e
per questa ragione non dispone di una letteratura corposa.
Il
danno non patrimoniale è un costrutto unico, una categoria generale che non può
essere suddivisa in autonome categorie di danno. È solo a fini descrittivi e
psicologico-giuridici che si adottano le distinte denominazioni di “danno
morale”, “danno esistenziale” e “danno psichico”. Il danno biologico, quindi,
può rimanere puramente tale, oppure intrecciarsi con ciascuna delle tre
categorie, poiché a qualsiasi evento di natura biologica è possibile associare
una conseguenza morale, esistenziale o psicologica.
Con
la denominazione DANNO MORALE si intende un danno transitorio, che non genera
sofferenza psicologica, né compromissione dell'equilibrio psichico della
persona o della sua qualità della vita.
Bisogna
intenderlo come uno stato di tristezza e prostrazione transitoria causato dal
trauma, che tuttavia non arriva ad alterare l’equilibrio interno dell’io e le
modalità di relazionarsi con l’esterno.
Questo
tipo di danno non incide sulla salute psichica, ma direttamente sulla dignità
umana. La sua valutazione, nella prassi, non viene affidata ad un perito,
proprio perché è impossibile valutarlo a distanza (parliamo di uno stato
transitorio). La sua valutazione è quindi totalmente affidata al giudice.
Il
DANNO ESISTENZIALE è invece un'alterazione, in senso peggiorativo, del modo di
essere di una persona nei suoi aspetti sia individuali che sociali. Deve dunque
esser una modificazione in senso negativo dell’equilibrio psicologico e dello
stile di vita nell’ambito dei rapporti sociali, della famiglia e degli affetti
in ottica relazionale ed emotiva, che condizioni marcatamente la qualità della
vita, la sua progettualità e le aspettative.
Nel
danno esistenziale, tuttavia, la diminuzione della qualità della vita e la
perdita di chance non devono sfociare in una vera e propria malattia
psicologica. Valutare questa condizione non è affatto semplice, poiché bisogna
comprendere che avere una sintomatologia (sebbene florida) di psicopatologia,
non sempre equivale ad essere affetti da una psicopatologia.
La
valutazione del DANNO PSICOLOGICO, come già detto, è un costrutto molto
recente. Per questa ragione non esiste un contributo univoco sulla questione
della sua valutazione, ma una molteplicità di contributi non sempre
concordanti. La prima definizione di danno psichico che compare nella
letteratura specialistica risale al 1991 e lo definisce una compromissione
durevole e obiettiva che riguarda la personalità individuale nella sua efficienza,
nel suo adattamento, nel suo equilibrio. Un danno quindi consistente, non
effimero né puramente soggettivo, che si crea per effetto di cause molteplici e
che, anche in assenza di alterazioni documentabili dell’organismo fisico,
riduce in qualche misura le capacità, le potenzialità, la qualità della vita
della persona. Qualche anno dopo, nel 1995, venne introdotta nella definizione
di danno psichico la condizione che fosse presente un'alterazione
dell’equilibrio di personalità, o dell’adattamento sociale, che insorga dopo un
evento traumatico o logoramento sistematico di una certa entità e di natura
dolosa o colposa, che si manifesti attraverso sintomi e compromissione della
vita normale del soggetto. Venne aggiunto anche un parametro di tempo: si ragionò
sul criterio della permanenza della condizione anche dopo un periodo di
stabilizzazione (circa un anno), pur senza arrivare a configurarsi
necessariamente in un vero e proprio quadro clinico patologico.
Questo
indica che, nella valutazione del danno, è necessario prestare attenzione al
fatto che il soggetto potrebbe trovarsi all'interno dei tempi dell'elaborazione
del trauma. Ciò va considerato sulla base della sintomatologia, della tipologia
degli eventi e delle risorse (individuali e relazionali) del soggetto.
Bisogna,
dunque, essere in grado di fare una prognosi. Se la sintomatologia è ricca è
necessario sapere che la quota di remissione del sintomo dipende dalle
strategie adottate dal soggetto, dalla sua capacità di chiedere ed accettare
aiuto. Il risarcimento del danno è legato proprio alla prognosi.
La
definizione attuale si orienta su una concezione di danno visto come una
patologia psichica che insorge dopo un evento traumatico o un logoramento
sistematico, di una certa entità e di natura dolosa o colposa, che si manifesta
attraverso sintomi e che si stabilizza, a seconda del tipo di evento, in un
periodo variabile da uno a due anni. Attualmente, tuttavia, si fa rientrare
nella definizione anche una compromissione della qualità della vita normale del
soggetto o uno stato psichico che non esiti necessariamente in un quadro
clinico patologico.
Ovviamente,
per essere in grado di stabilire su quale grado di compromissione ci
attestiamo, bisogna poi valutare l'effettiva riduzione di una o più funzioni
della psiche, come le funzioni primarie, l’affettività, i meccanismi difensivi,
il tono dell’umore, le pulsioni. Tutto ciò a prescindere dall'orientamento
teorico di appartenenza.
Possiamo
quindi definire il danno psichico come una compromissione, anche in assenza di
lesioni o malattie organiche, obiettiva e durevole dell’equilibrio psicologico,
del comportamento e delle capacità di adattamento alla realtà, che compromette
le capacità, le potenzialità e più in generale la qualità di vita del soggetto.
Il
danno psichico può essere:
- Conseguente ad una lesione fisica specifica (ad esempio i disturbi neuropsicologici conseguenti ad un trauma cranico);
- Conseguente ad una lesione fisica aspecifica (ad esempio uno stato depressivo conseguente all’amputazione di un arto);
- Un danno puro, senza alcun substrato fisico-organico, addirittura senza la presenza del danneggiato all’evento (ad esempio la depressione da lutto).
Vanno
quindi sempre considerate due distinte dimensioni del danno psichico: una più
prettamente patologica di tipo reattivo, che risulta più pertinente e consente
di identificare il nesso causale (come nei casi di lesione specifica e
aspecifica) e una più sfuggente e meno precisamente identificabile (come nei
casi di danno puro).
Talvolta
si fa riferimento anche al concetto di DANNO INDIRETTO: è un danno riconosciuto
sia in termini patrimoniali che esistenziali/psicologici. Riguarda il danno
subito dai soggetti vicini alla persona vittima del reato (ad esempio i
familiari). Tutti hanno diritto a un risarcimento del danno, a prescindere
dalle condizioni di partenza. Dobbiamo, cioè sempre valutare a partire dalla
condizione di partenza quali modificazioni ci sono state nella vita
dell'individuo, ma se l'evento ha leso qualcosa, questo va considerato a
prescindere dalle condizioni di partenza.
BIBLIOGRAFIA
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PERNICOLA
C.(2008), Guida alla valutazione del danno biologico di natura psichica, Franco
Angeli, Milano.
Dott.ssa Laura Messina - Psicologa Psicodiagnosta
www.lauramessina.it - info@lauramessina.it
lasciate inalterato il pie di pagina con i riferimenti A.Na.P.P.
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